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Una dialettica interna

di Angelo Enrico

 

ntonio Pileggi è il capostipite di una famiglia desiderosa di porsi in prima linea (Nick Pileggi e Gay Talese giornalisti e scrittori delle nuove frontiere americane, sono suoi nipoti!).
E non avrei avuto bisogno di conoscerlo da vicino per accorgermi che il nostro pittore più in vista dei primi anni del ’40 aveva come desiderio più marcato quello di partecipare. Primo o ultimo non gli importava.
Dopo il processo degli “ottantotto” che chiuse il capitolo di una resistenza a rovescio, alla metà appunto degli anni ’40, Pileggi che ne aveva illustrato le scene come “una quinta del sordo” (si licet…), avvertì che la competizione si trasferiva dal piano culturale a quello concreto della economia più spicciola.
..........Cioè aveva inizio l’Italia del miracolo. Nelle due Americhe, dove si recò, Pileggi ottenne successi ed un po’ di fortuna. Fuin quello spazio di tempo che lo persi d’occhio.
..........Ma la sua pittura del periodo americano l’ ho vista nelle fotografie che il pittore mi ha mostrato quando egli ritornò definitivamente a Catanzaro.
..........Il segno l’ ho avvertito costante anche in quella pittura: rapido come nel periodo di formazione giovanile così come lo mantenne nella maturità. E aveva voglia di sfumarlo ora col pollice ora con qualsiasi cosa si trovasse sottomano!
..........La rapidità è un simbolo di quegli abbagli luminosi che la memoria percorre a ritroso. I pensamenti sui primi segni, con interventi correttivi per creare“l’aria”- come diceva- vengono dopo. Chi ha provato a dipingere sa che solo meditando sulla prima stesura si possono avvertire le traccedi una idea prefissata. È quello il canovaccio su cui si lavora. E la pittura, come tutte le arti non è caso né occhio.
..........Distinguerei l’opera di Pileggi in tre periodi:
- in quello di formazione che arriva alla assoluta padronanza del disegno ( da collocarsi fino alla metà del ‘40);
- in quello americano che va fino ai primi degli anni ’60 quando Pileggi trovò un suo rapporto con l’ambiente attraverso il colore;
- e nell’ultimo fino alla morte quando ormai padrone delle sue idee smise di cercare per dipingere finalmente con la sicurezza ed il piglio del forte.
..........Nella pittura di Pileggi si avverte a prima vista una dialettica interna che non è rigetto delle idee nuove ma dibattito fra la pittura come impressione e pittura come scandaglio dell’anima. E non darei neanche priorità ad uno dei due termini. Piuttosto rimarrei dell’avviso di equidistanza anche se qualche mio amico critico di fama, da me sollecitato per un giudizio, l’ha inquadrato di primo acchito nel grande alveo dell’impressionismo.
..........Per alcune ragioni dissentirei. Prima fra tutte quella che fa di Pileggi un ricercatore di nessi fra forma ed essere in sé come categoria.
..........La scoperta di Velasquez confermata dalla pittura contemporanea con Ricasso in testa, mostra la chiave di una interpretazione moderna della pittura di Pileggi. E, semmai, ci sarebbe da dire che Pileggi, senza arrivare agli estremi, preferisce la ricerca silenziosa.
..........L’occhio attento vede nella sua pittura una impostazione geometrica delle figure, raccolte ora in rettangoli, ora in triangoli o trapezi. E siamo lontani dal classicismo attribuitogli frettolosamente dai superficiali; perché la prospettiva di Pileggi non ha fuochi né punto di vista unico. Poi c’è la cromatica che Pileggi ricava dall’ambiente. Per dirla con un solo concetto affermerei che egli come pittore (ed in fondo era anche l’uomo) aveva trovato il modo di contentare un po’ tutti.
...........La sua padronanza del disegno l’aiutava molto a realizzare l’intento. E non so se fosse pago di questo suo Eldorado. Certamente si contentava, come ho detto all’inizio, di aver partecipato. E soprattutto era certo di aver seguito un’esperienza personale senza indulgere alle mode. Quanto al valore assoluto della pittura, in un mondo del tutto relativo, non voglio dare voti.
..........Gli volevo bene e lo stimavo. Se facessi elogi sperticati rischierei di non essere creduto nemmeno per il poco. Ma non vorrei che anche questa dichiarazione di stima “post mortem” gli nuocesse. Dico soltanto che noi catanzaresi non abbiamo avuto molti cavalli di razza. Vogliamo salvare i pochi?

 

 

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